martedì 23 maggio 2017

Il paradiso, può attendere | 23 Maggio 2017 |


  Le cinque e cinquanta. Ti svegli, come ogni mattina, prepari per il caffè e per i  toast che farai tra circa un'ora per i tuoi figli e tua moglie. Sali le scale del soppalco e siedi alla tua scrivania per leggere un po', meditare un po', prepararti in preghiera per un altro giorno di lavoro “in paradiso” (così come cantava Phil Collins tanti anni addietro). Prima di sedere dai una rapida scorsa al tuo smartphone con le news... e ti accorgi che è accaduto... ancora.

  Apri la pagina delle news sul tuo computer, e vieni accolto da immagini che ti colpiscono come un cazzotto in piena faccia dato da Mike Tyson. A Manchester, in un concerto di Ariana Grande, qualcuno o qualcosa, una bomba ha fatto strage di quelli che il cronista si ostina a chiamare “ragazzini”.

  A diciassette, diciotto, diciannove anni non sei più “ragazzino”: sei un giovane uomo o una giovane donna che si affaccia sulla vita vera, che ha tutta la voglia e il diritto di vivere, crescere, e lasciare una traccia in quel “paradiso”, magari di cambiarlo; in meglio.

  Mentre scorri l'articolo, non puoi impedire alla tua mente di correre verso i tuoi figli di sedici e diciotto anni che stanno dormendo nel loro letto, a soli pochi centimetri, oltre la parete che divide la tua scrivania dalla loro stanza.

  “Avrebbero potuto essere loro”  pensi. Tutti i sogni, tutte le aspettative, tutte le incerte certezze della loro vita futura strappate via, così, da un po' di polvere pirica e qualche chiodo.

  Ma poi, perché? C'è una singola ragione che giustifichi tutto questo orrore? Ah, si, una c'è: l'editto di chissà quale esagitato leader che, anni addietro, disse :”Porteremo l'orrore delle vie di Bagdad nelle vie delle vostre città, in Occidente.”

  E' questo il fine? Far provare il medesimo dolore che provano i padri e le madri di Bagdad, di Kirchuk, (o in quale altra maniera si scriva), di Mosul, di qualsiasi altro posto dove infuri una guerra, santa o meno santa, di farlo vivere anche a noi, che siamo la "causa di tutto"del folle autoproclamato leader o profeta di turno?

  Il dolore non si cancella con il dolore, il sangue non lava il sangue, ma raddoppia la chiazza, la morte non restituisce la vita... tutte frasi logiche, che cerchi di pensare... ma mentre lo fai capisci che le pensi tu, di fronte al tuo PC, nel “paradiso” che detieni come occidentale... E che non riuscirai mai a far arrivare a chi ha confezionato la bomba, ha chi l'ha collocata tra migliaia di suoi coetanei (probabilmente), a chi ha tirato il cordino, facendosi magari esplodere e diventando lui morte per altri.

  E ti corre la mente alle frasi di Cristo in Matteo 5:44-45: 

“Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.”

  E ti ricordi che non stai in “paradiso”, come cantava il buon Phil, solamente perché hai cibo, una casa, una apparente normalità di vita. Ma che stai nel mondo, violento, ingiusto, dove tu non controlli nulla... se non la tua voglia di rialzarti, e di non maledire... altrimenti faresti il loro gioco.

  Ma di benedire: perché così fai il gioco di Colui che lo controlla da sempre quel gioco, che lo ha creato perfetto e lo ha visto divenire imperfetto a causa della nostra altezzosa superbia di uomini.

  Il paradiso, quello vero, può attendere: noi siamo del mondo, nel mondo.

Marco
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