mercoledì 2 agosto 2017

L'acqua e lo straniero | 2 Agosto 2017 |

(Una breve riflessione circa la morte di Morientes, un giovane “migrante” rifugiato politico della Costa d'Avorio annegato lunedì 31 luglio nel lago di Bolsena)

L'acqua


L'acqua è l'elemento principe della vita sulla terra. Il nostro corpo è composto per il 99% d'acqua, secondo gli ultimi studi. L'acqua è un bene prezioso. Nel paese da dove Morientes proveniva, è sovente un bene anche più prezioso che qui da noi. Non arriva nelle case con i tubi, non c'è sugli scaffali dei supermercati. La si va a prendere, se c'è, quando c'è, in un pozzo che può distare da casa anche molte ore di cammino. La si prende così come è: limpida o torbida, fresca o calda, profumata o maleodorante. L'acqua è anche un percorso, una via verso la libertà: libertà da una guerra, da una schiavitù, da una dittatura, da una vita che non promette nulla tranne il cercare di sopravvivere un giorno ancora. Morientes aveva percorso il deserto, e poi aveva attraversato le onde del Mediterraneo per giungere a quello che lui vedeva come una “terra promessa”, un nuovo inizio, una rinascita, un futuro. Nella cultura cristiana, l'acqua è il simbolo della rigenerazione, della nuova nascita; nella chiesa che conduco battezziamo gli adulti che hanno creduto in Cristo “per immersione”, e l'acqua simboleggia il passaggio da una vecchia vita alla nuova vita, il “lavare via” il peccato, il riemergere dall'acqua mutato e purificato per sempre. Ma l'acqua è anche una barriera; una barriera fisica, da attraversare, pericolosa e infida, dove puoi terminare per sempre la tua vita. Morientes quella barriera la conosceva, come tutti coloro a cui abbiamo dato il nome collettivo di “migranti”. Ed è anche una barriera mentale; in inglese c'è una parola specifica, “overseas”, che individua quel “che sta al di là del mare”. Qualcosa lontano, straniero.
Lo straniero
Morientes aveva attraversato quella barriera fisica, ma per molti di noi non quella mentale; era ancora “l'overseas”, il lontano, lo straniero, il “migrante”. Ma poi, quell'acqua che Morientes aveva bramato e trasportato come fonte di vita nel suo paese natale, quell'acqua che aveva attraversato per giungere ad una nuova vita, quell'acqua che stava dandogli refrigerio e svago in una torrida giornata di fine luglio, diventa la sua ultima acqua. E stride l' aver attraversato nelle lacrime un mare su una zattera e il morire a pochi passi dalla riva di un lago dove stai ridendo con chi ti vuole bene. E allora scopri che quel “migrante” venuto da molto lontano, era null'altro che un uomo come te, con le sue piccole gioie e i suoi limiti umani; che è come te, che soffre, ride, e muore come te. Scopri che, tra te e lui, non c'è differenza alcuna, se non nella barriera di un nome collettivo con cui la tua società lo separa dal tutto. 

Proprio in quelle stesse acque che hanno dato la morte al migrante, qualche giorno prima, avevo assieme alla chiesa, dato una "vita nuova" a tre migranti al pari di Morientes, giovani che erano suoi amici. Quando ho saputo della tragedia, inconsciamente, in un attimo, nella mia testa è attraversato un pensiero: "Speriamo non sia uno di loro.". Mai pensiero fu più sbagliato.

Come credente, difatti, non sono qui per aiutare SOLO chi ha accettato Cristo, a fare cordoglio SOLO per chi fa parte della mia stessa fede. la Parola, difatti, mi chiama a tutt'altro. Quale sarà allora il mio modo di onorare questa vita, oltre al fare cordoglio? Come posso trarre il bene dal male assoluto della sua giovane vita che non c'è più? Cosa mi può e mi deve insegnare? Nel libro di Levitico 19:33-34 sta scritto: “Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto.Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Ognuno di noi è in se uno “straniero”; la terra che posseggo non è mia, e non la porterò assieme a me. La salvezza che proclamo chiamandomi cristiano deve spingermi ad essere responsabile e consapevole che sono chiamato ad amare lo straniero, non solo a sopportarlo come un qualcosa di accidentale ed inevitabile. In Numeri 15:16 sta scritto: Ci sarà una stessa legge e uno stesso diritto per voi e per lo straniero che soggiorna da voi”. Gli “stranieri” di cui parla la Bibbia erano provenienti da popoli che avevano altri usi, altri costumi, altri cibi, altri dei. Ora come allora, sono chiamato a vedere lo “straniero” non come un “male necessario”, ma una parte della mia vita, e della mia missione di testimonianza. 

L'acqua è fonte di vita, di movimento e di divisione, ma io sono chiamato ad essere un'acqua differente per chi mi sta a fianco, anche se straniero, overseas, migrante. “Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno.” (Giovanni 7:38) 
Marco PS: riporto qua sotto l'articolo 5 del Patto di Losanna del 1974, un documento firmato dalle maggiori confessioni cristiane nel mondo che sintetizza magistralmente quello che, come credenti, siamo chiamati a fare nel mondo.
--- 5. La responsabilità sociale dei cristiani "Sosteniamo che Dio è sia il Creatore sia il Giudice di tutti. Dobbiamo dunque condividere la sua preoccupazione per la giustizia, per la riconciliazione sociale e per la liberazione degli uomini e delle donne da ogni forma di oppressione. Poiché gli uomini e le donne sono fatti a immagine di Dio si ha che ogni persona, indipendentemente dalla razza, dalla religione, dal colore della pelle, dalla cultura, dalla classe sociale, dal sesso o dall’età, possiede un’intrinseca dignità in ragione della quale deve essere rispettata e servita e non sfruttata. Nell’affermare queste verità vogliamo anche esprimere il nostro pentimento sia per le nostre mancanze sia perché a volte abbiamo considerato l’evangelizzazione e la responsabilità sociale come due cose che si escludono a vicenda. Sebbene la riconciliazione tra persone non si identifichi con la riconciliazione con Dio, né l’azione sociale equivalga all’evangelizzazione o la liberazione politica alla salvezza, sosteniamo tuttavia che l’evangelizzazione e la nostra responsabilità socio-politica siano entrambe parte del nostro impegno cristiano. Entrambe sono espressioni necessarie delle nostre dottrine di Dio e dell’umanità, del nostro amore per il prossimo e della nostra ubbidienza a Gesù Cristo. Il messaggio di salvezza implica anche un messaggio di giudizio su ogni forma di alienazione, di oppressione e di discriminazione e noi non dovremmo temere di denunciare il male e l’ingiustizia ovunque si manifestino. Quando qualcuno riceve Cristo egli nasce di nuovo nell’ambito del suo regno e in questa nuova condizione deve cercare non solo di manifestare, ma anche di diffondere, nel contesto di un mondo malvagio, la giustizia di questo regno. La salvezza che proclamiamo dovrebbe trasformare noi stessi in tutte le nostre responsabilità personali e sociali. La fede senza le opere è morta." (Atti 17:26, 31; Genesi 18:25; Isaia 1:17; Salmo 45:7; Genesi 1:26, 27; Giacomo 3:9; Levitico 19:18; Luca 6:27, 35; Giacomo 2:14-26; Giovanni 3:3, 5; Matteo 5:20; 6:33; 2 Corinzi 3:18; Giacomo 2:20.)
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