giovedì 20 dicembre 2018

Celebrare Natale “nella zona giusta” del mondo | 20 Dicembre 2018 |

Questa che sto scrivendo dovrebbe, come consuetudine pastorale, essere la mia nota natalizia che ormai pubblico ogni anno in questo periodo che ci avvicina al ricordo di una nascita miracolosa.

E' una nota che, normalmente, si concentra sulle cose, “positive” del Natale, sui miei ricordi di bambino, sulla gioia.

Perdonatemi, ma quest'anno sarà un po' differente. Perdonatemi se non porterà gioia, o se la porterà solo in parte.

Quante volte dirai, da qui al 25 Dicembre, la frase “Buon Natale”? Ed in che modo la dirai?

Celebrerai davvero il ricordo sobrio della nascita del Cristo, oppure celebrerai l'opulenza della festa occidentale? Celebrerai colui che è venuto a cambiare la tua vita attraverso l'adozione nella famiglia di Dio, se hai accettato quel dono disceso dall'alto a Natale (poco importa che il 25 dicembre non sia la vera data), oppure celebrerai coloro che trarranno beneficio economico dalla vendita di tutto ciò che compererai per festeggiare “in modo adeguato” la stagione? Lo celebrerai nel santuario del tuo cuore devoto, o nelle “shopping mall” del centro commerciale?

Vorrei che tu riflettessi, ogni volta che dirai “Buon Natale”, che dovresti aggiungere anche “... a te che vivi nella zona giusta del mondo”. Perché? Semplicemente perché, che tu sia credente o meno, nella zona del mondo dove sei nato, dove sei nata,  puoi festeggiarlo senza dover rischiare la tua vita per farlo. Senza farlo di nascosto. Senza temere che la tua casa venga arsa assieme a chi ci vive dentro. Senza essere picchiato. Senza vedere i tuoi figli uccisi.

Festeggia pure, ma ricordati che lo fai perché non sei parte di 215 milioni di persone nel mondo perseguitate a motivo della loro fede in Cristo. Perché nessuno dei tuoi familiari fa parte delle oltre 3.000 persone uccise in un anno pur di non rinnegare la propria fede. Perché la chiesa dove forse entrerai solo a Natale non rischia di essere demolita assieme ad altre 15.000. Tutto questo perché hai avuto la fortuna di nascere “nella zona giusta” per poterti proclamare cristiano.

Magari sei tra quelli che si indigna solo perché una maestra (a torto o a ragione) sostituisce “Gesù” con “laggiù”  in una recita di Natale alle elementari, ma non sai che in Cina in questo momento stanno abbattendo chiesa su chiesa per impedire che le persone lo festeggino, che in Bulgaria  ogni pastore cristiano dovrà ottenere il permesso dallo Stato per celebrarlo, che in Turchia i missionari vengono messi in carcere, che persino Amnesty International ha  derubricato la strage di cristiani in Nigeria come “lotta tribale per la terra”.

O forse lo sai... ma tu sei nato, tu sei nata “nella zona giusta”, e puoi far finta che queste cose non riguardino te.

 Forse molti dei volti che incontrerai durante questo Natale e che noi chiamiamo con il nome collettivo di “migranti” stanno fuggendo proprio perché cercano una “zona giusta del mondo” dove gli sia permesso di celebrarlo.

Se pensi che il Natale sia pace, ricorda che colui che è nato ha detto anche “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra... I nemici dell'uomo saranno quelli di casa sua!” (Matteo 10:34a, 36). Se pensi che il Natale sia sicurezza, ricorda che colui che celebri ha anche detto: “ S'avvicina il momento in cui quelli che vi uccideranno crederanno di offrire un servizio a Dio.” (Giovanni 16:2)

 In che modo festeggerai Natale, tu che sei nato, tu che sei nata “nella zona giusta del mondo”? Il dono del Natale per te si concretizza anche nella capacità di celebrarlo; festeggialo, ma non solo a Natale. Parlane, ma non solo a Natale. Agisci con misericordia , pace bontà verso tutti... ma non solo a Natale.

 Fai della tua vita un continuo Natale, tu che ha la fortuna di essere nato, di essere nata “nella zona giusta” per essere libero, per essere libera di celebrarlo.

  Marco

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venerdì 16 novembre 2018

Quando la TV ti dipinge come una "setta" Lettera aperta alle Iene | 16 Novembre 2018 |

Dopo il servizio delle Iene sulla chiesa Parola della Grazia andato in onda qualche giorno fa, che dipinge una realtà delle chiese evangeliche fuorviante,  mi sono permesso di scrivere alla trasmissione: qua sotto trovate il testo della lettera.

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Lettera aperta alle Iene 

Care Iene,

 avrei voluto inviarvi un video. Uno di quelli ben fatti, con musiche, contributi audio, panoramiche e primi piani... ma io non ho una regia audio/video come nella chiesa che avete visitato a Palermo qualche giorno or sono; ho a malapena una telecamerina comperata al supermercato con la quale ci ostiniamo in chiesa a registrare ogni domenica le predicazioni per metterle in rete e offrirle al nostro audience... che è di una ventina di persone a settimana.

  Ah, scusate, non mi sono presentato: perdonate, non sono pratico del linguaggio giornalistico.  Mi chiamo Marco Delle Monache, ho cinquantasei anni, e da dodici anni sono il pastore di una chiesa evangelica nel nord del Lazio, a Montefiascone. E, se vogliamo, quel titolo di “pastore” con cui gli altri mi chiamano, è pure in un certo senso “abusato”, in quanto non ho un diploma da appendere sul muro, un dottorato in teologia o quant'altro.

  Ciò che so (e che provo di trasmettere) è il frutto di trenta anni di studio personale, di corsi fatti la domenica in questa o quella chiesa “che ne offre uno gratis”, di voli verso la Francia, l'Inghilterra o l'America per partecipare a questa o quella conferenza quando hai risparmiato a sufficienza o “la tale missione ti paga il volo”. 

  La mia non è una chiesa “in rapida espansione”, una di quelle che amate presentare in TV  come esempio della “religione in maggior crescita al mondo” ; esiste da ben dodici anni, e non è mai andata oltre i trenta membri (o, per meglio dire, “seguaci”, come ci chiamate voi). Non abbiamo culti oceanici (attualmente siamo circa tredici), né impianti audio degni del miglior service come a Palermo, ma un palco fatto con sei pallett riciclati, due casse, un mixer sei canali, due microfoni ed una tastiera... e un'unica persona che la sappia (più o meno) suonare.

  Non percepisco stipendio per le circa venticinque ore settimanali che impiego per scrivere i messaggi domenicali, organizzare eventi, gestire le risorse, addestrare gli altri a fare a meno di me quando non ce la farò più... perché venticinque ore a disposizione, dopo che ne hai passato cinquantacinque al tuo lavoro “secolare”, significa rubare quasi tutto lo spazio alla tua famiglia... e prima o poi qualcosa si rompe. A Palermo questo non succede, perché il pastore è a tempo pieno e percepisce (giustamente) una paga per ciò che fa.

  Io non percepisco stipendio, anzi, essendo quello con il reddito più alto in chiesa, sono tra quelli che mette più “decima” (eh, si, quella cosa che vi spaventa tanto e che vi fa gridare al plagio) per pagare le bollette del garage adattato a sala di culto (eh, no, non abbiamo una tensostruttura avveniristica con locali annessi come a Palermo), perché noi non fruiamo di finanziamenti pubblici per dare, ad esempio,  le  “estreme unzioni” in ospedale, né di 8x1000;  non abbiamo banche vaticane e non siamo sostenuti da missioni straniere.

  Sapete perché vi parlo di me? Perché la mia vita è più simile a quella della maggior parte dei pastori sparsi in Italia di quanto la sia quella del pastore della chiesa a Palermo che avete visitato ultimamente. Non facciamo “businness” in chiesa, ma piuttosto ci indebitiamo per farla funzionare.

  Sapete quale è la mia attività, ultimamente? Cercare di trovare lavoro da un immigrato che è stato coinvolto (crediamo a torto) in un processo, è in stato di fermo e non può allontanarsi dalla nostra città, è stato espulso dal centro di accoglienza, è in attesa da due anni dell'udienza del tribunale, e a cui nessuno vuole dare lavoro. E i membri di chiesa lo invitano a turno nella propria casa per dargli un pasto caldo, e un po' di umano affetto.

  Certo, lo “scoop” della grande chiesa da duemila partecipanti che “palgia” il giovane omosessuale fa più share... ma, perdonatemi, non rappresenta punto la verità VERA delle nostre chiese.

  Sapete come sono il 95% delle chiese evangeliche in Italia? Piccole entità fatte di persone appartenenti spessissimo al ceto medio-basso o all'immigrazione, che talvolta danno ben oltre la decima parte del loro reddito per riuscire a “fare” quelo che fanno, spesso nel disprezzo generale e sempre  tra le barriere di uno Stato dove vige ancora una legge fascista del 1930 che stabilisce i “culti ammessi”, che ci definisce “culti acattolici”, galassia, con alfa privativa che sta ad indicare che sei “senza la chiesa cattolica” e, pertanto, differente, strano, pericoloso, da tenere d'occhio.

  E dire che mi piacete, voi Iene! Mi siete da sempre piaciuti, quando andate a ripianare i soprusi, a denunciare storture, a smascherare i pedofili (talvolta in tonaca e pastorale). Ma poi, alla ricerca del punto di share, raccontate una realtà (quella delle chiese evangeliche) che è un film che solo voi vedete.

  Sapete, care Iene, cosa mi sarebbe piaciuto da voi? Che oltre a fare un servizio dove dipingete tutti noi come manipolo di “adepti” (… parole vostre...  si parla così di una setta, vero?), con tanto di musica horror di sottofondo alla Pshyco (invece del vostro solito irriverente, allegro stacchetto), aveste la voglia di cercare di capire cosa fa quell'esiguo 1% della popolazione italiana che frequenta una chiesa evangelica (ma và? Forse vi aspettavate che fossimo di più, vero? L'Islam è il 3%, gli ortodossi il 2,8%...)

  Mi sarebbe piaciuto (e un po' ci rimango male, perché, in fondo vi stimo) che foste andati a vedere la verità VERA delle nostre chiese, fatte da una trentina di persone se va bene, a rischio costante di sfratto perché edifici di culto autorizzati per noi non ce ne sono (anche se la legge lo imporrebbe), messe spesso all'indice da autorità e curie locali,  trattate come “stravaganti” se non come “sette”, ma che nonostante tutto continuano finché ce la fanno per poter dare agli altri una prospettiva del cristianesimo che vada oltre il colonnato del Bernini, la papamobile, lo IOR... o gli scandali della pedofilia.

  Che sovente si sobbarcano in silenzio il compito dell'integrazione dei migranti a proprie spese, dove con i minuscoli mezzi a disposizione si organizzano sostegni scolastici per i bambini scolastici, banchi alimentari per i poveri, aiuti ai terremotati, corsi di lingua per migranti e quant'altro occorra a rendere la chiesa un luogo di accoglienza piuttosto che di mera aggregazione.

  Ma certo, comprendo, le persone farebbero lo “zapping” su un servizio del genere... e si sa, lo share e la fidelizzazione determina il costo degli spot...

  Vedete, care Iene, questa lettera che vi invio è “aperta” per un semplice motivo: affinché “altri” oltre voi possano leggerla e, magari, arrivare a un 0,1% di quelli che hanno visto il vostro servizio, e stimolare in loro la voglia di capire un po' meglio chi siamo. 

  Capire, ad esempio, che non esiste UNA chiesa evangelica, modello mutuato dalla chiesa cattolica, ma una galassia di denominazioni ognuna distinta dall'altra per modi di agire, di predicare, di parlare agli altri, e che dire “gli evangelici sono così” visitandone una è come voler stabilire che tutti i pastori hanno gli occhi azzurri perché quello della chiesa dove andate li ha.

 Capire che l’unico modo di fare quello che facciamo è attraverso lo sforzo comune di chi frequenta la chiesa (che, tra l’altro, è il metodo che utilizzano le chiese dove vanno, ad esempio, anche Bill Clinton o George W. Bush... sono “sette” anche quelle?).

  Avere la voglia di non giudicarci se non dopo aver visto chi siamo e cosa facciamo, di non chiamarci setta perché siamo “acattolici”, di non pensare che vogliamo plagiare alcuno; non tanto perché ci sentiamo offesi, ma per poter continuare a fare ciò che facciamo a favore dei minimi di questa società. 

  E tutte le volte che voi (o altri) fanno un servizio dove si mettono in un unico calderone tutti gli evangelici, dove il sottofondo (non detto, ma implicito) è “non fidatevi, questi sono strani e pericolosi”  succede che il giorno dopo avremo un po' più difficoltà ad ottenere il permesso per entrare nelle carceri, per distribuire pasti ai senzatetto, per accogliere il migrante abbandonato dallo Stato, per organizzare il doposcuola in un quartiere degradato. E chi ne pagherà le spese saranno le persone che non potremo più aiutare.

  Ma io sono un semplice “pastore”, e pure senza diploma... Cosa posso io contro le Iene? Il mio “share”? Una ventina di amici.

  Ricevete i miei saluti.

Marco Delle Monache
pastore (abusivo) 
Chiesa Cristiana Evangelica della Vera Vite
Montefiascone (VT)

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PS per sgomberare qualsiasi equivoco: la mia nota non deve in nessun modo essere letta come una critica alla chiesa palermitana mostrata nel servizio delle Iene, alla sua organizzazione, dimensione o alle sue scelte di come proclamare il Vangelo, per la quale nutro il più alto rispetto. L'intento è esclusivamente rivolto a mettere in luce la superficialità con la quale un certo tipo di TV racconta la variegata realtà delle chiese evangeliche in Italia.
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martedì 9 ottobre 2018

...perché saranno chiamati figli di Dio. | 9 Ottobre 2018 |

Forse eravamo troppo abituati alla “normalità” dell’indifferenza: “Sono pochi... quattro gatti: cosa vuoi che facciano ‘sti invasati?”

Abituati a far parte della minoranza dei “culti acattolici”, come ci hanno inquadrato le varie leggi e i vari concordati; non più confino o campi di concentramento, come nel ventennio, non più roghi come al tempo del Papa re... indifferenza, che è anche peggio.

Innocui. Pochi. Dispersi.

Eppure abbiamo continuato a predicare il Vangelo, nonostante tutto; nonostante le bollette del locale che “e chi ce li ha i soldi questo mese?”. Nonostante i “ma quanto siamo pochi stamattina”. Nonostante i “siamo stanchi, e ci vorrebbero più braccia”.

E poi, succede che, pian piano, il mondo cambia. La nostra nazione cambia; l’economia, la  composizione etnica, le prospettive per il domani... e le persone attorno cominciano a perdere le loro sicurezze. E si preoccupano.

Noi, noi non abbiamo cambiato il nostro messaggio: forse le forme, ma la sostanza rimane:”Io sono la Via, la Verità, e la Vita”. E il messaggio del Vangelo diventa anch’esso fonte di preoccupazione, di disorientamento, che spesso sfocia nell’odio.

Basta “googleare” una frase del tipo “chiesa evangelica atti vandalici” e il web restituisce uno spaccato della paura e dell’odio che suscita il Vangelo (quello vero) al giorno d’oggi in Italia.

Aprile 2014: Carbonia:A fuoco il portone della sala dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia  Le fiamme,  sono state appiccate intorno alle 6.45  davanti al portone, in via Abruzzi. 

Maggio 2014; Bagheria: un’altra chiesa evangelica  presa di mira da ladri e vandali nel giro di poche settimane, dopo che i ladri hanno danneggiato e saccheggiato i centri di Santa Flavia e di Altavilla Milica.  Rubate tutte le apparecchiature audio e video presenti nel local;  persino gli utensili per celebrare la Santa cena come il calice ed il piatto dove si depone il pane spezzato.

Maggio 2016: Milazzo. La porta della Chiesa Cristiana Evangelica di Olivarella, nel quartiere di Via Palermo serrata con del mastice.

 Dicembre 2016: Scampia, Napoli: una baby gang, armata di bastoni,  fa irruzione all’interno della chiesa evangelica di via Labriola, seminando il panico tra i fedeli raccolti in preghiera, senza – per fortuna – provocare feriti. I bulli, tutti a volto coperto, danneggiano la porta d’ingresso  e  un vetro del tempio. 

Giugno 2017: Via Fleming, a Milano: la Chiesa evangelica «Semplicemente Amore»;  il pastore Riccardo Tocco copre con scotch da pacchi il finestrone . «Hanno usato delle mazze -, spiega, e devono essere state infilate tra le maglie della serranda -. Questo vetro è rinforzato, non è facile da rompere». Eppure più volte s’è rotto. Sono anni che la chiesa, a cadenza regolare, viene attaccata: 2005, 2009, 2015, 2017...

Settembre 2018: la chiesa battista di Milano via Jacopino avrebbe dovuto iniziare il nuovo anno, ma quando Carmen, la responsabile del doposcuola offerto ad un quartiere degradato  ha aperto il suo locale lo ha trovato a soqquadro: banchi rotti, armadi rovesciati, scritte sulle mura, tra cui: “CARMEN AMICA DEGLI STRANIERI".
Ottobre 2018, Varese:  la Chiesa di Via Verdi subisce il furto di strumenti musicali e attrezzature tecnologiche con successivo incendio di natura dolosa. I locali  completamente inagibili, fuliggine dappertutto,  e  danni da quantificare. 
 Cosa fare? Stupirsi?  Arrabbiarsi? Deprimersi? Reagire? Chiedere aiuto alle istituzioni?

Gesù ha un’altra prospettiva: ἀγαλλιάω, agalliaō, che  nelle nostre bibbie è tradotto con “giubilate”, ma in realtà significa, “fate grandi salti  per la gioia”.

Significa che siamo innocui, pochi, dispersi, è vero... ma siamo nel solco del Maestro. Che predichiamo il Vangelo, quello che fa male, che taglia, che scava e che “sceglie” chi lo ha accettato. Quel Vangelo per il quale, nonostante le sofferenze e il disprezzo del mondo, saremo chiamati “figli di Dio”.

"Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.” (Matteo 5:9-12)

Marco





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martedì 7 agosto 2018

Unire i punti per vedere la vera immagine | 7 Agosto 2018 |

Una delle cose che ogni pastore deve affrontare ed imparare a gestire nella sua vita di servizio è lo “scoraggiamento”.

Essere pastore non è un semplice “titolo” (per alcuni, e sbagliano, lo è);  ma significa “fare.

Significa passare gran parte della tua vita a studiare strategie, scrivere messaggi, provvedere alle necessità del gregge che Dio ti ha affidato, progettare nuove attività, incoraggiare e soccorrere...

Alcuni cercano di fare tutto da soli e, prima o poi, esauriscono le energie (ci sono passato anche io, non vi preoccupate!). Altri, i più saggi tra noi,  hanno capito di non poter arrivare dappertutto; così demandano ad altri gran parte del lavoro, incoraggiando così la crescita di altri leader in chiesa.

Ma in qualsiasi caso, arriva una stagione della tua vita di “pastore” dove ti guardi indietro e cominci a “pesare” l'impegno con i tuoi occhi umani. Normalmente capita quando c'è una crisi, o uno stallo nel ministero globale di una chiesa; e si cominciano ad affollare nella tua mente riflessioni che vanno dal “bicchiere mezzo vuoto” a quello “completamente vuoto”.

Cominci a calcolare gli anni spesi nel ministero, e li paragoni ai “frutti”... che spesso gli occhi si limitano a cercare nella “consistenza numerica”.

Se sei pastore, e  ti è capitato di attraversare momenti del genere, beh, sappi che sei in buona compagnia... almeno siamo in due!

Nei miei ventisei anni di servizio complessivo al Signore, e nelle varie fasi e ruoli della mia vita di servitore, ho sempre dovuto lottare contro lo scoraggiamento e, negli anni, ho cercato varie strategie per gestirlo: dai libri scritti da credenti più maturi di me, al consiglio di altri pastori, all'incoraggiamento di credenti fuori e dentro la chiesa.

Ma il sostegno migliore in ognuna di queste fasi, lunghe o brevi che fossero,  è sempre arrivato da un episodio specifico che il Signore ha permesso affinché io smettessi di guardare la chiesa con il mio occhio umano e tornassi a guardarla con gli occhi di Gesù.

L'ultimo caso è accaduto pochi giorni fa, attraverso un concerto di musica “secolare” della corale della cittadina dove ha sede la chiesa.

Già, perché in quella corale amatoriale sono coinvolti da qualche tempo due membri della nostra chiesa.

La prima è Jean, una donna inglese che ha deciso di spostarsi da una comunità di qualche migliaio di persone a Nottingham dove era segretaria del pastore, per venire a “lavorare gratis” in una di venti, offrendo gli “Alpha Courses” in lingua inglese ai migranti di un centro di accoglienza con il quale collaboriamo da qualche tempo.

L'altro è Jeffery, fuggito dal suo paese, la Nigeria, a motivo di una sorta di faida tra gruppi che aveva decimato la sua famiglia, quasi affogato nel naufragio della zattera su cui erano stipati e la cui memoria  ritorna sovente nei suoi peggiori sogni.

Jean ha cominciato a frequentare il coro per divertimento, ma anche per “stabilire ponti” con la comunità dove ormai vive, ed ha invitato Jeffery a partecipare anche lui (in chiesa siamo troppo pochi per formare una vera corale... , ma, chissà, in futuro ci si potrà lavorare su). E in breve Jeffery è diventato la “mascotte”, è stato apprezzato per quello che è,  ha condiviso la sua storia, ha parlato della sua chiesa. Ha stabilito ponti tra lui (e non solo lui) ed una comunità all'inizio “scettica” per via del colore della sua pelle.

Sei lì, in una calda serata d'agosto, per ascoltare un po' di buona musica, vedere amici e parenti coinvolti nel coro e per sostenere due membri della tua chiesa: nessun “secondo fine” nella tua testa.

Ma poi, quando capisci che il direttore del coro ha deciso di affidare a Jeffery l'unico ruolo solita della serata, e quando la gente chiede  il bis, ed è di nuovo Jeffery ad esibirsi... allora cominci a “unire i punti” e a intravedere la sagoma di quello che Dio vuole dipingere attraverso la chiesa che ti ha concesso di guidare; e, una volta a casa, riguardi i “punti che hai unito, vedi la forma... e capisci!

Se non ci fosse stata la chiesa a Montefiascone, i migranti non sarebbero arrivati in chiesa, Jean non si sarebbe trasferita, non ci sarebbero stati Alpha Courses,  Jean non avrebbe invitato Jeffery al coro, le persone non avrebbero conosciuto la sua storia, la popolazione di Montefiascone non avrebbe conosciuto il ministero della chiesa verso i migranti, … Ma, soprattutto, Dio non sarebbe stato glorificato per tutto ciò.

E allora ti si aprono di nuovo gli occhi dello Spirito, e per un po' chiudi quelli umani ed il tuo modo di guardare l' impegno nella chiesa locale: il fine ultimo, non è la mia soddisfazione, il mio occhio che vuole vedere la crescita numerica, ma la gloria di Dio.

Sei lì, in quella chiesa che non è la tua, ma di Gesù, non per la tua personale soddisfazione, ma per mostrare la Gloria di Dio al mondo. L'opera non è la tua, e i punti da unire non li hai messi tu. A te spetta solo di accettarli, di unirli... e di guardare poi lo stupendo dipinto che il RE dei re ha creato attraverso di essi.

Unire i punti, per vedere la grande immagine:  quello è il carburante per continuare, nonostante il tuo occhio umano. Quello è il tuo premio. Quello è il motivo di tutto.

“Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può essere nascosta...Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.” (Matteo 5:14, 16)


Marco
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Qui sotto trovate il link all'articolo apparso sulla stampa locale che racconta in breve la storia di Jeffery, e  il video della sua performance.


Link all'articolo




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martedì 26 giugno 2018

L'opera non è nostra | 26 Giugno 2018 |

In un momento storico del nostro Paese dove molto si discute sull'ospitalità ai migrandi, vorrei condividere con voi la testimonianza che ha dato Isaiah, uno dei ragazzi nigeriani che frequantano la nostra chiesa a Montefiascone (VT) e che abbiamo battezzato qualche domenica fa. 

Come cittadini possiamo avere ognuno le proprie opinioni, a favore o contro. Come politici possiamo studiare sistemi e soluzioni per vivere in pace e provvedere alle emergenze. Come credenti siamo chiamati ad amare lo straniero “perché anche voi foste stranieri” (Esodo 22:21).

Ma, come chiesa di Cristo, dobbiamo a mio avviso ritornare a capire che sempre più spesso saremo chiamati ad essere non "laghi" che man mano si riempiono di credenti, ma piuttosto approdi su un  fiume,  dove la corrente della vita e la guida del Signore porta  ad attraccare per un breve periodo persone che hanno bisogno di capire che Dio li ama. 
Luoghi dove vengano “nutriti” spiritualmente (e molte volte nutriti fisicamente),  per poi riprendere il viaggio e continuare  seguendo la corrente della propria vita,  portando il nome di Gesù più a valle. 

Isaiah tra poco non lo avremo più con noi, ma sapere di aver contribuito anche in minima parte a ciò che lui recherà per sempre con se, la sua nascita in Cristo, averlo visto proclamare il Vangelo dinanzi a pochi credenti e a molti bagnanti incuriositi... beh, quello ripaga con interessi a tre decimali la nostra piccolissima chiesa di tutti gli sforzi, le lacrime, le disillusioni, il "quanti siamo pochi oggi!", oppure "ci vorrebbero più braccia per fare anche quello", o anche "ma quanti soldi abbiamo in cassa per pagare le bollette del locale?"

L'opera non è nostra. L'opera è del Maestro, come la Gloria che ne viene.

E Lui, sorridendo, ci premia al di là dei nostri reali meriti, facendoci partecipi, e strumenti di quella Sua Gloria. 

Marco  



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sabato 17 febbraio 2018

Volare via da qua o restare per testimoniare Cristo | 17 Febbraio 2018 |

 Certo che a vederli così, stampati su una busta ufficiale, fanno un certo effetto. Sto parlando dei nomi dei miei due figli.

Da oggi Benjamin e Matteo sono ufficialmente “Mister B. Delle Monache” e “Mister M. Delle Monache”.

Le buste sono quelle di due passaporti: non i passaporti italiani , il Paese dove sono nati, il Paese dove il loro padre (io) è nato, dove hanno vissuto, dove il loro padre (io) ha sognato di dargli un futuro, una prospettiva, perché potessero continuare a vivere in questo meraviglioso “Paese” pieno di storia, di bellezze naturali, di buon cibo; quelli italiani li hanno già da tempo. All'interno ci sono due passaporti britannici, la nazione dove è nata la loro madre, e su cui sta scritto che, da oggi, hanno “british citizenship”, cittadinanza britannica, sudditi di sua Maestà la Regina Elisabetta II.

  Sono leggeri, ma pesavano più di mille chili ciascuno nel momento che li stavo portando a casa. Già, perché quei due passaporti rappresentano il fallimento della mia generazione. 

  Fummo giovani, nati a metà degli anni sessanta. Il 68 ce lo ricordiamo appena, ma ci ricordiamo gli anni di piombo, il terrore di accendere la TV e scoprire che le BR ne avevano steso un'altro: poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti, politici. Il terrore sottile di aspettare tuo padre politico che va a Roma per le riunioni e il non sapere se lo rivedrai, se sarà lui ad allungare la striscia di sangue al TG.

  Ci ricordiamo il caso Moro, e la sconfitta del terrorismo, proprio quando ci affacciavamo sulla vita sociale del Paese, e andavamo a far parte di quella schiera di giovani pieni di sogni per il futuro, utopisti quel tanto che bastava da dire “andiamo a far risorgere questa nazione dopo il buio della Repubblica”. 

  Con  quella sana utopia di giovani abbiamo studiato, ci siamo laureati, abbiamo ricoperto cariche istituzionali importanti. Oppure abbiamo aperto le nostre attività, abbiamo dotato il nostro Paese di nuovi servizi, abbiamo cercato nuove vie nel commercio, nell'industria o dell'agricoltura.

  Il Marco diciottenne assieme a milioni di suoi omologhi ed omologhe si sono messi in gioco per consegnare ai propri figli un passaporto per una nazione bella non solo nei paesaggi o nelle antichità, ma anche bella da vivere, pronta ad essere amata, per la quale si fanno follie d'amore... non certo per consegnargli un passaporto per fuggire da essa. Un passaporto ed una cittadinanza che apra ai propri figli un futuro, lontano dall'Italia, che non sia solo quello di sforzarsi una vita nel tentativo di arretrare solo un poco rispetto a ciò che ha avuto il proprio padre.

  Ieri a casa abbiamo festeggiato, ma sapevo che stavo festeggiando il fallimento di una generazione, la mia, che ha prodotto una pletora di politici corrotti o corruttibili, di gente classista, di uomini e donne intolleranti e razziste, di tangentisti. Se è vero come è vero che abbiamo trovato questa realtà consolidata, dopo la sconfitta del terrorismo e la caduta della prima Repubblica spettava a noi, oramai ultracinquantenni, di cambiare le regole, di virare la barra a dritta, di sterzare. E invece ci siamo accomodati nei “salotti buoni”, fatto patti con i corrotti, chiesto favori ai potenti, ammannito la droga del “noi in Italia siamo fatti così” alle generazioni dopo di noi.

  E mentre festeggiavo la cittadinanza britannica dei miei due figli, riflettevo che invece avrei dovuto festeggiare un altro documento arrivato da poco nella mia famiglia: la tessera elettorale del mio primogenito Matteo. Avrei dovuto festeggiare il fatto che, dal 4 marzo, sarà capace di esprimere come la pensa e, nel suo piccolo, di prendere in mano il suo futuro, e quello della sua nazione (perché, intendiamoci, italiano era e italiano resta).

  “Perché devo andare a votare, papà, se tutto resta uguale nel tempo?”.  Sono questo tipo di domande che fanno rinascere in me l'utopia di poter cambiare questo Paese, anche fosse per la più minuta pietra dell'ultima strada della mia città. “Io resto, Matteo. Tu puoi andare... ma io resto”.

  Resto non tanto perché  sono ormai vecchio, o perché ho affari consolidati, ma perché non voglio darla vinta a chi ha sconfitto i miei sogni. Resto perché so che la mia nazione è piena di persone che meritano di più, persone stupende, cortesi, intelligenti, ironiche. Resto perché proverò fino a che posso di cambiarla attraverso il mio lavoro, attraverso il mio impegno sociale, attraverso la mia testimonianza di credente e il mio parlare di Cristo agli altri.

 Ecco perché resto.  Resto soprattutto perché, come credente, Dio  mi ha chiesto di arricchire QUESTA nazione, di cooperare al bene di QUESTO Paese, di portare frutto in QUESTO posto. Gesù in Matteo 5 dice:

"Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può essere nascosta,  e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli." (Matteo 5:13-16)

  So che sto consegnando ai miei figli un futuro pieno di speranze in quei due passaporti per volare via. Ma voglio, ancora oggi voglio, utopisticamente voglio continuare a credere che possa cambiare. Che la mia nazione possa tornare a consegnare ai nostri giovani un passaporto per il futuro, che anche dalla cabina elettorale si possa sovvertire uno stato di fatto che si perpetua da cinquant'anni, affinché ci sia futuro, prospettiva, utopia.

Affinché non ci siano più padri che consegnino passaporti ai propri figli italiani per volare via da qua.

  E tutto ciò passa anche dalla mia testimonianza di Cristo in questa nazione. Sono io il sale, sono io la luce, sono io il mezzo con cui Cristo risveglia e trasforma un Paese.


Marco
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RIFLESSIONI E PROSPETTIVE

Appunti di viaggio dal Pastore - - - Avviso: questo sito non è affiliato con la chiesa che è stata chiusa definitivamente il 1 Ottobre 2023, ed è pubblicato al solo scopo di insegnamento e come archivio dei 26 anni di storia della chiesa stessa.
Archivio gestito a cura della Associazione Culturale "I Tralci" - Montefiascone (VT)
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