sabato 14 dicembre 2019

Un presepe anomalo e reale in tempo di Avvento | 14 Dicembre 2019 |

Roma, inverno del 1982. Io sono là, per studiare. Le lezioni sono quasi finite, e io me la prendo comoda, e vado a zonzo tra le vie del lusso, per respirare un po' di festa: via Condotti, via del Corso, piazza di Spagna...

Non sono molto allegro; non mi capita spesso di esserlo da quando sono a Roma... troppo grande, troppo caotica... troppo, per uno di “paesetto” come me”. Intorno mi scorrono visi e voci di gente che si appresta a festeggiare... cosa? Forse neppure io lo so … a quel tempo la mia fede non era poi così solida. Scorro le vetrine ingombre di cose che non comprerò mai... sino a quando... la vedo! O forse è lei che vede me.

Due pupille nere, isole nel bianco di occhi affogati nel nero ancor più intenso di un viso africano. Lei guarda me... ed io lei, mentre allatta il suo bimbo, seduta fianco le macerie di una capanna arsa... Lei, loro, unici superstiti del villaggio, sterminato.

Mi guarda, dalla copertina di non so che rotocalco, appeso nella vetrina meno importante dell'edicola al Corso. Tra tutte le strenne, quella sera compero lei, o meglio, la sua voglia di parlarmi. Salgo sul 36, come sempre stracolmo di gente... ma è come se fossimo soli... Io, lei, quel bimbo, i suoi occhi...

Ricordo non dormii quella notte, stravolto da quello sguardo, dinanzi al quale mi sentivo inerme, schiacciato. Presi carta e penna e, come sempre, scrissi. Una poesia... ma poi perché? Cosa cambiava per lei e per il suo bimbo? Cosa cambiava per me? Ma l’unica cosa che potevo fare era scrivere... e pregare con la mia fede malferma d’allora.

Sono passati trentasette anni da quando scrissi quella poesia, di getto, tergendomi gli occhi mentre gli occhi di una donna africana, testimone del massacro del suo villaggio, mi trafiggevano l’anima, guardandomi dalle pagine di una rivista. In quel presepe anomalo e doloroso, lei era la sola protagonista assieme al figlio, e la sola superstite, assieme al figlio, di un massacro basato sull’odio tribale e sull’odio religioso.

Era come se lei mi vedesse, mentre io ero avvolto dalle luci festose del Natale di lì a venire: e io mi sentivo nudo nella mia opulenta ricchezza, nella mia attesa dell’Avvento, nelle mie compere natalizie per una gioia ostentata, raramente sentita nel profondo...

Mi sentivo inerme... L’unica cosa che potevo fare per lei, era dedicargli una poesia che non avrebbe mai letto... e che non le avrebbe riempito lo stomaco. Scrivere, e sperare che il mondo divenisse migliore.

Trentasette anni dopo, purtroppo, trovo lo stesso imbarazzo a festeggiare, sapendo che il mondo non è cambiato, che di quegli sguardi che penetrano e lacerano l’anima, di quei presepi anomali e dolorosi ce ne sono a miliardi nel mondo... E, ora come allora, torno a dedicargli parole e pensieri...

Ma anche se so che il mondo è lo stesso (forse un po’ più buio), io non voglio essere lo stesso di trentasette anni fa; per questo le dedico oltre alle mie preghiere, anche la mia testimonianza perché altri conoscano ciò che per l’opulento occidente è assolutamente trasparente, mai avvenuto, al massimo “effetto collaterale” o “lotta tribale”.

Lo faccio, ora come allora, durante l’Avvento, per ricordare a chi crede che Colui che festeggiamo, è venuto per quel presepe anomalo, non per il mio, non per i nostri; povero tra i poveri per riscattarli. Non per regalarci il benessere delle vetrine addobbate, ma per renderci testimoni attivi del Suo messaggio.

Amare non è un sentimento.

Amare è un’azione... e non solo a Natale.
---

Mater Suavis


Roma, Via Gran Sasso - 9 dicembre 1982 h. 4,30 della notte

I

Protesa stancamente a un abbraccio
lebbroso, o mentre doni
le mammelle riarse al bimbo piangente
io ti vedo,
mater suavis,
e scruto le tue antiche e affaticate
pupille cercare nel tramonto
una speranza per quell’essere
stretto al tuo seno.
E vedo l’angoscia del giorno
riempire il tuo viso,
la speranza cadere dalle tue
vesti lacere;
e carezzare dolcemente
la tua creatura non sazia.
Madre soave, non avranno domani
più latte le tue grinzose mammelle,
né più sogni da donare
al querelante bimbo,
quand’egli chiederà (ingenuo)
il perché della vita.

II

Mille soli hanno rapito
la speranza alla mente,
né le fiabe conoscono più
le tue labbra bavose.
Hai visto figli scannati
come capre, immolati all’altare
del mondo e dell’odio,
il fumo dei villaggi arsi,
l’assenza non voluta, e per sempre,
di chi ti rese feconda.
Le tue stridenti e fragili ossa
hanno sopportato la verga del tempo,
e la frusta del duro lavoro,
e l’acido delle privazioni,
madre soave
che culli nella notte il bimbo
stringendolo al ventre,
mentre in veglia dolorosa
attendi senza gioia
che nasca un altro sole.

III

Eppure domani troverai nuovi miti
sottili e dolci,
pie bugie per illudere
il figlio prediletto,
nuove fiabe per rendere
meno aspro il giorno
e la notte ricca di mostri
e d’anime veglianti
al suo riposo.

IV

Mater suavis,
sia tu benedetta
quale immenso miracolo.
Non esistono lodi
per premiare
questo tuo santo ufficio.
L’unica ch’io conosca
è quella di stringermi idealmente a te
e di chiamarti MADRE!


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Marco

PS: se volete saperne di più di quello che realmente succede nel mondo, vi suggerisco di visitare il sito di Porte Aperte.

PPS: la foto (usata con permesso dell'autore) è tratta dal sito Witnessimage.
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